sabato 27 marzo 2010

Perché Farò Scheda Nulla Alle Votazioni

Alessio Mazzucco

Andare a votare è un diritto inviolabile, un dovere sacro. Andrò. Ma quella scheda mai conoscerà la crocetta sul simbolo, né il nome della mia preferenza; vedrà scritto: "Dorme quello spirto guerrier ch'entro mi rugge". Retorica? No. Se proprio devo annullare la scheda, l'annullerò con stile. Perché annullare e non tapparsi il naso e votare il meno peggio, votare contro mr B., votare con la speranza di un mondo migliore, di una politica più positiva, di un cambiamento di cui possiamo tutti farci partecipi. Balle. Questo raccontano ogni elezioni, questo ci dicono. Eppure chi ha mai ascoltato discorsi davvero inerenti all'elezioni in proposito? Il 2008 era un referendum "Governo Prodi sì/no", il 2009 "Berlusconi sì/no", adesso "Berlusconi sei mitico/ vai a farti processare". Dico davvero.

Sono riusciti a farmi disinnamorare della politica. Amore direte voi? Be, perchè no? L'unica attività che ci permette di vivere in comunità, di essere solidali e uniti con il prossimo, d'aiutare il più debole, dare a tutti la possibilità di esprimersi, è la politica. Brutta cosa? Non mi pare. Eppure cosa ci propinano, cosa ci dicono? Siamo seri. Mi sono ritrovato, un paio di settimane fa, a partecipare alla presentazione di Tinto Brass come candidato Radicale in un locale milanese, poi, nella stessa sera, in una festa PD organizzata da un giovane candidato alle regionali. Cosa ci facevo lì? M'avevano attirato con l'idea di fare un po' di festa: sapeste cosa m'importa di un candidato regionale del PD, quel grande partito che dovrebbe essere il nostro centro-sinistra (dio ci salvi!). Detto questo che è accaduto? Be, nel primo il livello d'intellettualismo raggiunto è stato così nauseante che i Radicali hanno perso il mio voto (non sono radicale, ma tra tutti eran quelli che s'impegnavano di più); diciamo che la "filosofia sul culo" del signor Brass non mi ha fatto granché effetto. E non parliamo di un detto scrittore che ad un tratto si definisce "Anarchico fascista", seguito da una frase che pulsava forte nella mia testa e che gridava: "Ma cosa sta dicendo questo?". Nel secondo il livello di buonismo e cliché era piuttosto alto; musiche di sinistra con nessuno che ballava, battute politiche scontate e tristi, il volantino del giovane candidato che altro non permetteva di commentare se non: "Ragazzo mio, mettici un po' di palle perfavore o quelli della Lega ti mangiano, te l'assicuro". Ma chi sono io per parlare? Di sicuro un elettore, quindi posso esprimere liberamente la mia opinione.

Mi si dice che per portare il cambiamento bisogna far piccoli passi alla volta. Io non faccio molto, ma quando chi mi critica darà volantini autofinanziati al freddo, metterà in gioco il suo tempo, la sua faccia, altri impegni per un progetto politico, per un'idea, per una qualche lotta all'acqua di rose, allora mi potrà dire quale via per il cambiamento sarà la migliore. Non inganniamoci: solo quando ei sarà, siccome immobile, dato il mortal sospiro, solo allora potremo dire che possibilità di cambiamento s'apriranno davanti ai nostri occhi. Vere possibilità? Non credo. Alla fine, cosa è accaduto dopo Tangentopoli, il momento più catartico della Repubblica Italiana? Chi ha potuto si è riciclato, chi aveva i mezzi è sceso in campo, un sistema che doveva essere mondato si è rigenerato, e stavolta in modo più sottile. Quello è il cambiamento all'italiana.

Del resto, in un Paese dove il 30% dei lavoratori evade le tasse, una quantità di denaro pari al 5% del PIL gira nel circuito della corruzione, dove chi non riesce a prendere una certificazione, a passare un esame, va in un certo posto dove può pagarlo o sa che è più semplice, dove solo una frazione minima delle persone dichiara più di 100000 euri annui di reddito (mi pare intorno all'1%), dove i giornalisti si schierano, i magistrati vengono dichiarati comunisti, dove il Presidente della Repubblica viene tirato per la giacca prima dagli uni poi dagli altri, dove si mente sui dati in modo tanto palese che neanche il menzognero riesce a convincersi di quando dichiara, dove chi manifesta molto spesso non sa neanche perché lo stia facendo, dove le persone che credono nella politica, nel cambiamento vengono deluse di continuo, cosa si può sperare di un Paese così? Cosa si può sperare in un Paese dove parole, etichette e promesse vengon confuse in un calderone ribollente, vomitate su un pubblico attonito, dove prescrizione viene confusa con assoluzione, dove l'80% delle persone s'informa solo tramite una scatoletta magica detta comunemente televisione, dove chiunque può sparare ciò che vuole in qualsiasi momento senza un serio contraddittorio e una ferma opposizione?

Non so quanto questo giornale andrà avanti, sarò sincero con voi. Del resto, il vino buono viene prodotto laddove le vigne sono ben curate, i vitigni ben potati, il terreno ben fertilizzato. Se mai riusciremo a riprenderci, a ricominciare, sarò felice di scrivere ancora opinioni, riflessioni e brevi e incomplete analisi. Se tutto questo, invece, si spegnerà silenzioso, sono felice d'aver partecipato all'avventura breve di un solo anno, sicuro che mi mancherà. E questo è il mio saluto.

Che dire? Dopo tanto sfogo, forse qualcuno potrebbe dire: "E tu che faresti?". Non ho un programma, né un'idea completa su cosa si potrebbe fare in questo Paese. Rispondere alla domanda "Che fare?" del fu Silone mi troverebbe impreparato, troppo presuntuoso se tentassi una risposta. Posso dire solo "Onesti di tutt'Italia, unitevi".

lunedì 22 marzo 2010

Simul Stabunt, Simul Cadent: la bilancia commerciale ed il suo ruolo nella ripresa in Italia

Vincenzo Scrutinio

“Moriens tua mors ero.”
Martin Lutero


Nonostante la caduta del prodotto interno lordo si sia ormai arrestata la ripresa economica stenta a decollare: L’Italia è stata duramente colpita dalla recessione mondiale con una perdita in termini di Prodotto Interno Lordo nel 2009 del 4,8% del Pil come il Regno Unito e la Germania ed un po’ meglio del Giappone (-5,3%) ed i tassi di crescita per il 2010 e 2011 si prospettano piuttosto contenuti (+1,0% e 2011). Se tuttavia consideriamo anche il 2008 la situazione italiana è seconda solo a quella Giapponese per perdita cumulata di Pil con un tragico -6,44% per il paese del Sol Levante e del 5,8% per l’Italia. Vari elementi hanno contribuito a rendere questa recessione particolarmente dura per il nostro paese come il persistente basso livello di crescita nell’ultimo decennio che ha reso l’economia italiana particolarmente fragile a shock esterni. Tuttavia alcuni elementi rendono questa recessione unica ed in particolar modo la situazione, abbastanza anomala rispetto alle precedenti recessioni italiane, della bilancia commerciale.

La Recessione: uno sguardo d’insieme

L’economia italiana è stata colpita in vario modo durante la recessione globale: in questa sezione intendo riassumere alcuni elementi rilevanti riguardo ad alcune variabili macroeconomiche. In tale sede non mi aspetto di poter dare un quadro sufficientemente esaustivo delle caratteristiche della situazione attuale per cui rimando ai documenti citati per ulteriori approfondimenti [1].

In primo luogo partirei dall’economia reale ed in particolare dal settore industriale. Un osservazione dei dati in prospettiva storica ci consente di dire che l’impatto dell’attuale crisi supera di gran lunga quello di tutte le precedenti recessioni del dopoguerra. In base all’indice della produzione industriale della Banca d’Italia (Figura 2), l’attuale crisi a causato una diminuzione della produzione industriale estremamente marcata con un crollo dell’indice di ben 30 punti nel 2008 contro una diminuzione del medesimo di circa 10 punti durante la recessione del 1973 e di solo 5 punti nel 1993. A partire dalla fine del 2008 la situazione è iniziata a migliorare gradualmente con una leggera crescita dell’indice fino ad un livello di 88 punti a gennaio 2010 [2], che , per intenderci, era il livello del 1994-1995. Quindi, in più o meno due anni siamo tornati ai livelli produttivi di circa 15 anni fa. Tale collasso è stato causato da una contrazione della domanda aggregata mai vista prima. In primo luogo i consumi delle famiglie sia in termini di beni durevoli che non durevoli si sono contratti in modo consistente anche se in modo meno marcato rispetto alla recessione del 1993. La contrazione è stata particolarmente forte per quanto riguarda i consumi non durevoli e semidurevoli mentre per quanto riguarda i consumi di beni durevoli la recessione del 1993 mantiene per ora il suo primato negativo [3]. Questa dinamica riflette una diminuzione della ricchezza e del reddito delle famiglie. Come osservato nell’indagine del 2009 sulla ricchezza delle famiglie, infatti, la ricchezza netta delle famiglie è di diminuita nel corso del 2008 di circa 1,9 punti percentuali, per lo più a causa di forti perdite sulle attività finanziarie (-8,2%) ed in misura minore per un aumento delle passività [4]. La dinamica dei prezzi delle abitazioni (il cui valore costituisce circa l’80% della ricchezza delle famiglie) è stata negativa ma in modo fortunatamente più contenuto con una riduzione del valore degli immobili di circa lo 0,4% (-1,1% in termini procapite). A questi effetti sulla ricchezza vanno sommati gli effetti negativi sul reddito dovuti al forte aumento della disoccupazione che ha registrato un aumento di 2,4 punti percentuali rispetto al 2007 secondo dati Oecd [5]. L’impatto effettivo della crisi sull’occupazione potrebbe essere maggiore e tornare in linea con gli effetti mostrati nelle altre economie avanzate se si considerasse anche la cassa integrazione straordinaria. Qualora anche i soggetti che beneficiano di questa istituzione rientrassero nel conteggio l’aumento della disoccupazione sarebbe di circa 4 punti percentuali [6].

Nel corso del 2008 e del 2009 gli investimenti sono crollati, con una contrazione del 4% nel corso del 2008 e del 12% nel 2009. La situazione è in parte migliorata alla fine del 2009 ma i tassi di crescita rimangono ancora negativi (-3,8% per il IV trimestre 2009). La situazione in questo campo sembra non essere destinata a migliorare nel breve periodo se si considera che il clima di fiducia delle imprese si è enormemente deteriorato durante la crisi e il tasso di utilizzo della capacità produttiva [7] è sceso a circa il 77% nel 2008. Anche in presenza, quindi, di migliori aspettative sulla domanda di beni ci vorrà un po’ di tempo prima che questo porti a più occupazione ed investimenti.

Un discorso a parte merita la bilancia commerciale.

This time is different: La bilancia commerciale italiana nella crisi corrente

Se durante le recessioni del 1974 e del 1993 l’andamento delle esportazioni aveva sostenuto la crescita del Pil, con effetti positivi sulla domanda aggregata, la situazione attuale si presenta ben diversa. Come si può ben vedere dalla figura 3, la dinamica della bilancia commerciale era stata favorevole all’economia attuale durante la recessione del 1993, anche a causa del fatto che la crisi era stata alimentata da un attacco speculativo sulla Lira con una conseguente svalutazione (-30%). Tuttavia questo fenomeno non va considerato come un’anomalia ma, al contrario, la crescita delle esportazioni si è rivelata essere uno degli elementi chiave per la ripresa economica durante numerose recessioni nelle economie avanzate [8]. Una situazione di stress economico porta, infatti, come naturale conseguenza, un indebolimento delle prospettive economiche per il paese in esame, con un conseguente deprezzamento della sua valuta in regime di cambi flessibili. Tale fenomeno può essere rafforzato da dinamiche deflazionistiche che portano ad un ulteriore deprezzamento della valuta in termini reali. Nel caso attuale, tuttavia, la natura globale dell’attuale recessione non ha permesso alle esportazioni di sostenere l’attività economica ed il fatto che sembra difficile che i paesi investiti dalla crisi possano essere aiutati nel breve periodo da una crescita della domanda estera, contribuirà ad allungare i tempi della ripresa [9]. Il commercio mondiale si è ridotto in misura considerevole e, dopo una contrazione dei volumi del 12,3% nel 2009, ci si attende che torni a crescere lentamente con tassi di crescita pari a 5,8% nel 2010 e 6,3% nel 2011.

Per l’Italia la situazione è ancora peggiore se si considera che molti dei partner commerciali del paese si sono trovati al centro della crisi ed anche la loro ripresa sarà lenta. Se escludiamo gli Stati Uniti con una quota del 6% delle esportazioni italiane, i principali partner commerciali sono europei con molti di essi appartenenti all’area euro con Francia, Germania e Spagna in testa (Figura 3). Tutte queste economie cresceranno relativamente poco nei prossimi anni e questo provocherà un ulteriore ristagno delle nostre esportazioni. Le relazioni commerciali con le economie asiatiche, d’altro canto, sono poco rilevanti con la Cina che rappresenta solo il 2% del nostro mercato estero e l’India che non figura neanche tra i primi venti importatori. Considerando che le economie asiatiche saranno il motore della ripresa, possiamo comprendere quale grande occasione queste economie avrebbero potuto essere per l’economia italiana. In questa ottica sembra anche più facile spiegare la dinamica del saldo netto di bilancia commerciale durante l’attuale recessione.

Se il saldo commerciale con le economie extraeuropee è migliorato sia grazie ad una ripresa più dinamica sia grazie alla diminuzione del prezzo del petrolio, passato da 150 dollari al barile nell’autunno 2008 agli attuali 82, la situazione è invece peggiorata per quanto riguarda il saldo commerciale netto con le economie europee (figura 4). Il saldo della bilancia commerciale sta migliorando lentamente rispetto alle economie extraeuropee (il saldo del 2009 mantiene un segno negativo prevalentemente a causa del forte deficit registrato in gennaio) che mostrano una ripresa più dinamica ma questo effetto è più che compensato dal peggioramento che si registra nei confronti di alcune economie che stanno ancora affrontando gli effetti della crisi. In particolare il surplus commerciale con la Spagna (figura 5), ancora nel pieno della recessione, si è ridotto drasticamente nel 2009 (-57,75%), contribuendo in maniera decisiva al peggioramento della bilancia commerciale (45,29% del peggioramento può essere imputato direttamente alla dinamica del saldo commerciale con la Spagna).


La lezione della crisi

In conclusione si può dire che l’attuale crisi, a causa della sua natura globale, non ha permesso alle economie di sfruttare la leva della domanda estera per uscire dalla recessione. L’Italia si è trovata in una situazione particolarmente sfortunata: duramente colpita sul fronte interno non ha potuto sfruttare il motore asiatico per essere trainata fuori dalla recessione ed ha condiviso la sorte di alcuni dei suoi partner commerciali più sfortunati come la Spagna la cui crescita, prima osteggiata per l’aver insidiato la posizione in classifica dell’economia italiana, portava una notevole dose di benessere anche all’Italia attraverso l’export. Se l’alta esposizione alle economie europee è facilmente comprensibile facendo riferimento ad alcuni degli elementi base dell’economia internazionale, come il modello gravitazionale, e considerando il ruolo propulsivo che ha avuto la creazione del mercato unico europeo, l’eccessivo sbilanciamento sembra dimostrarsi una fonte di debolezza per l’economia italiana ed un freno alla crescita economica. Come Raghuram Rajan [10] ha affermato in una sua lecture all’Università Bocconi: “ La crescita mondiale sarà nei prossimi anni trainata dalle economie asiatiche i cui consumatori necessitano di beni che rispondano a bisogni diversi rispetto a quelli dei consumatori occidentali”. Le economie avanzate non possono permettersi di ignorare questo monito ed in particolar modo le economie “deboli” ed a vocazione esportatrice come l’Italia. Bisogna augurarsi che questo impegno si concretizzi in qualcosa di più dei salumi halal esportati nei paesi del Golfo.

Note

1. In molti casi si farà riferimento ai dati presenti in “Le principali recessioni italiane: un confronto retrospettivo” di Bassannetti, Cecioni et al. (2009), per uno sguardo riassuntivo sulla dinamica del Pil ed i contributi delle singole variabili macroeconomiche si veda la figura 1.
2. The Italian Economy in Brief (2010)
3. Bassannetti, Cecioni et al. Op. cit.
4. Supplemento a bollettino statistico della Banca d’Italia, “La ricchezza delle famiglie italiane 2008” (2009)
5. OECD (2010)
6. Boeri (2010)
7. Ovvero quanto della capacità produttiva viene effettivamente usato nella produzione di beni.
8. Si veda Haugh, Ollivaud et Turner (2009).
9. World Economic Outlook, April (2009)
10. Rajan (2009)

Riferimenti

Banca d’Italia, 2010, “The italian economy in Brief: Marzo”, Banca d’Italia, http://www.bancaditalia.it/statistiche/altre_pub/econ_it/2010/35_10/iteconom_35_eng.pdf

Banca d’Italia, 2009, “Supplemento statistico: La ricchezza delle famiglie italiane 2008”, Banca d’Italia, http://www.bancaditalia.it/statistiche/stat_mon_cred_fin/banc_fin/ricfamit/2009/suppl_67_09.pdf

Bassanetti A., Cecioni A., Nobili A. e Zevi G., 2009, “Le principali recessioni italiane: un confronto retrospettivo”, Banca d’Italia Occasional Paper, http://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/econo/quest_ecofin_2/qf_46/QEF_46.pdf

Boeri T., 2010, Introduzione all’incontro di “Economia e Società Aperta: Disoccupati e Precari: e se diventano una categoria?”, 15/3/2010

Haugh D., Ollivaud P. e Turner D., OECD, “The Macroeconomic Consequences of Banking Crises in OECD Countries”, OECD Working Paper N. 683, http://www.olis.oecd.org/olis/2009doc.nsf/LinkTo/NT00000DDE/$FILE/JT03260699.PDF

IMF, 2009, “World Economic Outlook, April 2009. Chapter 3, From Recession to Recovery: How Soon and How Strong?”, IMF World Economic Outlook, http://www.imf.org/external/pubs/ft/weo/2009/01/

OECD, 2010, “OECD Harmonyzed Unemployement Rates News Release: Jannuary 2010”, http://www.oecd.org/dataoecd/20/21/44746304.pdf

Rajan Raghuram, 2009, The Global Credit Crisis: Causes and Consequences”, Lecture tenuta il 10/12/2009 in occasione del seminario FIN.TE.MA presso l’Università Bocconi.

venerdì 26 febbraio 2010

L'Orca Assassina e i paladini della libertà

Diego Zunino


In quest'ultimo periodo penso di stare assistendo a un sovraccarico mediatico di scandali cui forse avrò passivamente assistito solo nel 1992 quando, allora quattrenne, ritenevo che i politici fossero una derivazione dei miei tanto amati poliziotti con le loro macchinine blu e le pistole e i caschi blu supereroi nella Jugoslavia, paese che chissà perché mi era vietato visitare con il solo tesserino azzurro del certificato di nascita.

Ora non vorrei fare il solito sinistrorso radical chic che sorseggiando il suo bicchiere di whisky di buona qualità si strugge "con la faccetta sempre sofferente" a spiegare "che quest'Italia fa schifo, che ne vorrebbe un'altra salvo che... non ha mai lavorato!" (cit.) pur tuttavia non posso fare a meno di non notare questo accanimento verso il mondo della politica in generale. Prima Silvio, poi Marrazzo, dunque Delbono, per finire con Bertolaso. Accanto a scandali nel mondo della finanza come l'ultimo di Fastweb e il senatore eletto con i voti della 'ndrangheta. Anche ad Albissola, nel mio piccolo paese viene presuntamente "inchiodato" l'ex sindaco e nel piccolo, qualche blog lo ricopre di un fango mediatico di dubbia provenienza giacché di costui non si sa nemmeno il movente per cui avrebbe dovuto accettare, presso il proprio ufficio (sic!), una tangente da 50 000 €.

Il pericolo è quello di non riuscire più a distinguere l'informazione dalla calunnia, il vero dal falso. Tutto ribolle in un calderone cui si aggiungono ogni giorno nuovi ingredienti sempre gridando allo scandalo, logorando la credibilità delle istituzioni e, io sono convinto, intralciando il lavoro di indagine della magistratura. Non posso giudicare se questa sia o meno ad orologeria, o come dice Spinoza.it nel caso di Bertolaso a sismografia, pur tuttavia sfido ora il lettore medio a non credere a un certo tipo di coincidenza o a non sentirsi in un periodo di forte instabilità.

D'altro canto l'attuale maggioranza, più "Orca Assassina" che "Balena Bianca", va a nozze con questo clima, che fomenta istituendo una dicotomia gravissima e inaccettabile per ogni persona dotata di un briciolo di razionalità: la maggioranza è il bene e la libertà. La sinistra il male che vuole comporre un esercito di extracomunitari per tentare un golpe elettorale una volta fallito quello togato.
Trasformare l'avversario in nemico è quanto di più riprovevole che io possa accettare: creare i "promotori della libertà" "Un esercito del bene contro l’esercito del male, di chi ama contro chi odia. Una forza popolare, un vero e proprio esercito di difensori della libertà, composto da uomini, donne, giovani, da italiani che si schierano e si impegnano", che faranno capo direttamente a Lui.

Dalle parole del Presidente mi è venuto in mente la scena finale de "Il signore degli Anelli - le due torri" con l'esercito dei cattivi -brutti, sporchi, puzzolenti e feroci- assalire la candida cittadella fortificata e venire sgominati alla fine dall'intervento di una pattuglia di cavalieri bianchissimi, guidati dal loro carismatico leader, il buon Gandalf il bianco.

A questo punto non ci resta da capire per quale esercito schierarsi, i paladini e le camicie verdi contro le ordalie sinistrorse. Per gli interessati è stato istituito persino un tesseramento online, ecco il link http://www.promotoridellaliberta.it/index.php/iscriviti/registers. Ora scusate ma mentre gli araldi chiamano alle armi corro a Granburrone a fumarmi l'erba pipa.

sabato 20 febbraio 2010

Signor Presidente, Mi Compiaccio E Mi Auguro....

Giorgio Piga

Fino ad ora non ho né commentato né voluto scriver nulla riguardo all’aggressione subita dal premier in piazza Duomo il 13 dicembre al termine di un comizio, mentre si accingeva ai suoi soliti bagni di folla; volutamente ho lasciato trascorrere il tempo per riflettere sulla vicenda a mente fredda. Ricapitoliamo un po’: Berlusconi afferma (almeno secondo quanto detto dal fido Bonaiuti) di essere preoccupato del clima d’odio di quegl’ultimi giorni ancor prima di salire sul palco e di temere gli accada qualcosa di grave. Tant’è che, finita la manifestazione, tal Tartaglia, sfuggito agli occhi esperti della sicurezza, lancia una statuetta raffigurante il Duomo contro il presidente che, immediatamente, viene trascinato via e caricato in macchina anche se, prima di essere trasferito in ospedale, mostra al suo popolo il suo volto insanguinato e sofferente. Le dichiarazioni si susseguono, Gasparri dice che, Cicchitto chiosa, Di Pietro continua a sbagliare strategia ecc. Ora, al di là di ogni dichiarazione o critica o quant’altro, posso dire che il volto dolorante del premier in quel momento era il volto dolorante di una persona qualunque, perciò non posso che condannare il folle gesto di uno sconsiderato, seppur psicolabile; va condannato senza se e senza ma. Né tantomeno condivido il solito façon de faire del leader dell’Idv. Tuttavia, non posso certo essere d’accordo con le frasi Cicchittesche e Gasparrine, trite e ritrite peraltro; tutto ciò è frutto del clima d’odio continuo contro Berlusconi: questo il sunto dei due capigruppo. Calma, ragazzi miei, calma. Nessuno vuol certo difendere Tartaglia, ma non si può certo pensare che il clima d’odio contro il presidente del consiglio sia frutto unicamente degli attacchi, che credo del tutto legittimi in un paese democratico, o delle idee di una fazione politica che, oltretutto, tende semplicemente a interpretare il pensiero di chi la vota e che in tale pensiero ci si ritrova. E a mio avviso, la violenza dello scontro politico non è nata per caso o per puro capriccio, ma è degenerata in questi ultimi sedici anni, da quando cioè Berlusconi è entrato in politica. Il primo ad abbandonare un sereno clima di confronto, se la memoria non mi inganna, è stato lui, infischiandosene bellamente del rispetto per gli altri, avversari e non; lui, il primo che non ha mai pensato o voluto pensare all’importanza del ruolo di leader di partito, prim’ancora che capo di governo. Sarebbe troppo andare a contare le innumerevoli frasi sconsiderate propinateci in questi sedici anni, per inquadrare un attimo il fatto che, forse, non tutto può essere dovuto a chi la pensa diversamente. Ripeto, ciò non giustifica minimamente un attacco fisico contro la persona del presidente del consiglio né nei confronti di chiunque. Ritengo però che, se un tale è arrivato a compiere una simile nefandezza, spinto magari dal fatto di essere considerato un coglione perché vota a sinistra (mi si perdoni il banale esempio, ma credo calzi alla perfezione), qualche domanda sullo stato attuale delle cose il premier se la dovrebbe porre; in una situazione come quella in cui ci troviamo ora, nel clima di tensione verbale e politica che caratterizza l’Italia al momento, mi è difficile pensare che quanto è successo sia colpa di una sola parte che inculca “odio” e antiberlusconismo nelle menti che, quando son labili come quella dell’aggressore, vengono influenzate negativamente e avvengono episodi come quello a cui abbiamo assistito. Prendo atto del fatto che Di Pietro non utilizza una dialettica che porti ad un raffreddamento del clima, già piuttosto acceso, ma prendo atto anche del fatto che tutta la maggioranza prosegue insistente sulla strada della chiusura pressoché totale, basata sull’antico e fatiscente schema “con me o contro di me”. Ben facile dire poi che con questa sinistra non si può dialogare quand’è Berlusconi stesso che da sedici anni detta le regole del confronto mai disposto a scendere a compromessi, oppure ribalta il tavolo delle trattative come avvenne per il patto della crostata; trincerandosi dietro alla numerologia dei sondaggi e al settanta percento dei consensi o, meglio ancora, dietro a frasi che riguardano un coinvolgimento totale del popolo italiano con le sue idee. Presidente si rassegni, non tutti gli italiani sono con lei perché ben il trenta percento la pensa diversamente, me compreso, dichiarandosi assai contenta di questo. Mi compiaccio della sua rapida guarigione e mi auguro che quanto successo non si ripeta più; mi auguro anche che lei non sfrutti questo violento episodio per difendere oltremodo certi atteggiamenti, a mio avviso indifendibili e mi auguro che, prima o poi, qualcheduno in più all’interno della maggioranza sia in grado di esprimere il proprio pensiero senza che, necessariamente, rifletta in tutto e per tutto il suo.

lunedì 25 gennaio 2010

Caso Puglia

Giuseppe Alberto Falci

Dopo settimane di contrapposizioni interne al centrosinistra, si è conclusa la “telenevola” pugliese. Ha vinto Nichi Vendola, con oltre il 70% dei suffragi, sul rivale Francesco Boccia nella sfida per conquistare la candidatura alla Presidenza della Regione. Hanno votato circa 192.000 persone per le primarie del centrosinistra in Puglia. Il dato è quello definitivo reso pubblico dal Pd pugliese. Coloro che votarono in Puglia alle primarie del Pd il 25 ottobre scorso quando venne scelto Pierluigi Bersani a segretario del partito furono circa 170.000. Furono invece 79.296 i partecipanti alle primarie del 2005 quando per la prima volta Nichi Vendola ebbe la meglio su Francesco Boccia nella scelta del candidato presidente del centrosinistra per la Regione Puglia.

Cosa è successo in questi mesi in Puglia? Facciamo una breve storia dei fatti. In Agosto la riconferma di Vendola era cosa buona e certa. Durante la festa della Tarantella, Massimo D’Alema era stato chiaro: "Nichi è il nostro candidato”. Poi, gli incontri di fine estate, fra Casini e D’Alema, iniziarono a far trapelare qualcosa. A quel punto, la candidatura di Vendola rimase appesa all’esito delle primarie di Ottobre. Dalle mozioni si evinse come la vittoria di Bersani avrebbe significato la ricerca dell’alleanza con l’Udc, la formazione di una “nuova Unione”. Bersani vinse. Si iniziò a parlare di alleanze in vista delle Regionali di Marzo. Casini fu subito chiaro:” O con noi, o con Vendola”. E D’Alema propose Michele Emiliano, eletto sindaco di Bari in Giugno con l’appoggio dell’Udc. Emiliano pose subito un problema: non si sarebbe dimesso da sindaco di Bari. Perciò, chiese alla Regione una leggina ad personam per risolvere il nodo dimissioni. La Regione e il Pd locale respinsero al mittente la richiesta. Ma, nello stesso tempo Vendola non mollò la presa, consapevole della sua forza e del suo consenso. Si arrivò ad un compromesso tra Pd e Vendola: fare le primarie. Non appena si pronunciò la parola “primarie”, Michele Emiliano ritirò la candidatura e tornò a svolgere la carica di sindaco. I vertici nazionali del Partito Democratico diedero un mandato esplorativo a Francesco Boccia per trovare attorno alla sua candidatura un’ampia coalizione. Boccia piacque all’Udc onde per cui si andò avanti su questa linea. Ma, Vendola non ha mai pensato di togliere il disturbo e lasciar spazio a Boccia. Quindi, primarie fra Boccia e Vendola, esattamente come 5 anni fa quando Vendola vinse con uno scarto di 1600 voti. Questa è la cronaca.

E adesso che farà il Pd? Gli scenari possibili sono due. Primo scenario: corsa a tre. Che vuol dire? Il Pd correrà con Vendola, l’Udc sosterrà la Poli Bortone, e il Pdl Rocco Palese (uomo di Raffaele Fitto). Secondo scenario: corsa a due. Il Pd sosterrà Vendola e, per la felicità del Pdl, l’Udc avallerà la candidatura di Palese. Il primo scenario è il più probabile e, il più favorevole al Pd. Perché? La cronaca dice che la Poli Bortone, ex sindaco di Lecce e militante di Alleanza Nazionale, è stata scartata dai vertici nazionali e locali del Pdl per motivi intrinsecamente personali. Dalla candidatura della Poli Bortone ne trarrebbe vantaggio esclusivamente il Pd perché il suo elettorato è il medesimo del Pdl. Quindi, nel caso del primo scenario la vittoria di Vendola sarebbe ragionevole. Il secondo scenario sarebbe lo stesso di cinque anni fa, da una parte avremmo Vendola e dall’altra, al posto di Fitto, Rocco Palese. Direi: che casino.

sabato 23 gennaio 2010

Il PD e la Puglia: come perdersi in un bicchier d'acqua. Di rubinetto.

Simone Signore

Per molti il comportamento degli ultimi tempi di Massimo D’Alema, recentemente bocciato per la nomina di Ministro degli Esteri Europeo (e dal prossimo martedì, nuovo presidente del Comitato
Parlamentare per la Sicurezza della Repubblica, COPASIR), e di Nichi Vendola, ex-governatore della Puglia nonché portavoce di Sinistra Ecologia Libertà, appare come l’ennesimo ingiustificato hara-kiri politico, che rende l’arte del disaccordo il vero tallone d’Achille del PD. Eppure, a ben vedere, la faccenda potrebbe non essere così irrilevante.

Benché D’Alema smentisca l’ipotesi “inciucista” che avrebbe portato ad un’alleanza pugliese PD-UDC nel nome di Francesco Boccia, vi sono numerosi indizi che portano a considerazioni in senso opposto. Insomma, per citare Andreotti, “a pensare male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca”.

Si dà il caso infatti che il suocero di Pierferdinando Casini sia l’imprenditore Gaetano Caltagirone, decimo uomo più ricco d’Italia, che possiede il 7,5% di ACEA SpA (Azienda Comunale Energia e Ambiente), la quale ha già da molto tempo puntato gli occhi sull’acquedotto pugliese per mezzo delle azioni del suo amministratore delegato, Marco Staderini, ex Lottomatica ed ex CdA RAI, anch’egli legato da intima amicizia con Casini. A rinforzare la catena di relazioni troviamo Andrea Péruzy, consigliere di ACEA per conto dell’azionista francese Suez e segretario generale della dalemiana Fondazione Italianieuropei. Questi legami a doppio filo si concretizzano nella scelta di opporre a Vendola l’economista Francesco Boccia (MBA Bocconi n.d.r.), peraltro già sconfitto da Vendola nel 2005 per poco più di 1200 voti.

In un’intervista ad un giornalista de “La Gazzetta del Mezzogiorno” Boccia dichiara infatti che “Se l’acqua (fosse) pubblica, la Regione (…) dovrebbe darla gratis a tutti e, invece, in Puglia si pagano le tariffe più alte. Per questo sono per la statalizzazione delle imprese che detengono il patrimonio delle principali utilities, ma sulla gestione no: pretendo che le famiglie del San Paolo di Bari (n.d.r quartiere popolare ad alto tasso di disoccupazione e microcriminalità) non paghino nulla e i benestanti come me e Vendola paghino di più. E, per farlo, occorre aprire le porte della gestione alla competizione tra privati, pur tutelando la maggioranza in mano pubblica".

Vendola, dal canto suo, ha sempre rivendicato la necessità di mantenere il servizio idrico nelle mani dell’amministrazione pubblica: “Noi non consentiremo un esproprio di un bene che e' un vanto, un orgoglio. L'Acquedotto pugliese e' un grande bene pubblico, l'acqua che da' ai cittadini e' un diritto universale. Noi ci metteremo di traverso, lo faremo con tutte le nostre forze, contro ogni disegno per regalare a qualche multinazionale francese o americana un bene pubblico come quello pugliese”. Contro la volontà di Vendola si inserisce però il Decreto Ronchi dello scorso novembre, che stabilisce l’affidamento della gestione dei servizi idrici ai privati entro il 2011.

È dunque iniziata la guerra dell’oro Blu?

Benché gli intenti espressi da Boccia siano più che encomiabili, numerosi studi sulla transizione da gestione pubblica a gestione privata delle Water Utilities hanno prodotto risultati poco gratificanti. I casi più eclatanti sono il Ghana, dove la PPP (Partnership Pubblico Privato) fondata dal governo ed alcune multinazionali ha raddoppiato il costo dell’acqua, fino ad arrivare a costituire un decimo del guadagno medio giornaliero; anche a Cochabamba, in Bolivia, dopo l’avvento del consorzio Aguas del Tunari (tra cui la statunitense Bechtel e l’italiana Edison) i prezzi aumentarono del 20%-30% sino a costituire un quarto del reddito mensile. Anche le città di Cancun, Saltillo, and Aguas Calientes in Messico hanno storie differenti in cui la costante è un aumento indiscriminato dei prezzi (dal 32%-68% o più) ed addirittura il rischio di bancarotta delle imprese operanti (come ad esempio la francese Vivendi, che ad Aguas Calientes nel 1994 rischiava il fallimento, salvo poi rinegoziare con la pubblica amministrazione un contratto trentennale ancora più vantaggioso).

Avvicinandosi un po’, troviamo i due casi documentati da Report (che consiglio a tutti di vedere: http://bit.ly/8NSf6G) di Arezzo (con la multinazionale francese Suez), dove i prezzi sono raddoppiati una prima volta con l’avvento del servizio privato ed una seconda a causa del cambio truffaldino 1:1 con l’euro, o di Aprilia con AcquaLatina SpA (in cui figura proprio la ACEA) in cui si documentano aumenti dal 50% al 3300% (33 volte tanto!), con la nascita di un gruppo di 5000 e più cittadini che si rifiutano di pagare le bollette esponendosi al rischio di vedersi chiudere fisicamente i rubinetti.

Insomma, molta cautela è necessaria quando si approccia il discorso della privatizzazione dell’acqua: è evidente che, trattandosi di un mercato che si configura come monopolio naturale (data la presenza di altissimi costi d’entrata ed enormi economie di scala e di scopo), il passaggio da prezzo politico a prezzo di monopolio porta inevitabilmente ad un aumento di livello dei prezzi, e sebbene questo possa essere contrastato da una efficiente normativa, non sono escludibili effetti collaterali. Lo dimostra il caso di AQP, la SpA che gestisce proprio l’Acquedotto Pugliese, che si è rifiutata di investire nelle proprie infrastrutture dopo che era stato bloccato il tentativo di ritoccare all’insù del 10% i propri prezzi. E aumenterebbe anche il rischio d’impresa, come ci dice la notizia che sempre AQP abbia rischiato di perdere 250 milioni di euro in obbligazioni di Ford, Chrysler e General Motors nei mesi caldi della crisi.

È vero, gli effetti sono piuttosto eterogenei, e come spiega uno studio piuttosto ottimista commissionato nel 2007 dalla Inter-American Development Bank ed effettuato sul territorio colombiano, la privatizzazione del servizio porta ad un sicuro aumento dei prezzi solo per l’ultimo quintile (i.e. il 20% della popolazione ordinata per reddito, ovvero i più poveri), mentre per gli altri il risultato non è anticipabile. E qui pare di intravedere una filosofia interpretata magistralmente dalla battuta attribuita ad Ettore Petrolini: “Bisogna prendere il denaro dove si trova: presso i poveri. Hanno poco, ma sono in tanti”.

martedì 29 dicembre 2009

Trionfo D'Amore

Filip Stefanovic

Silvio Berlusconi è un corruttore di giudici e ufficiali della Guardia di Finanza.
Silvio Berlusconi è un evasore fiscale.
Silvio Berlusconi ha avuto stretti rapporti con la mafia.
Silvio Berlusconi detiene la maggior parte dei canali d’informazione in Italia e ha una forte, spesso predominante influenza sui restanti.
Silvio Berlusconi ha ridotto le istituzioni a bieca merce di scambio, offrendo le più alte cariche, come ad esempio quella di Ministro per le pari opportunità, a donne avvenenti senza alcuna preparazione politica in cambio di prestazioni sessuali. Sesso orale, per la precisione.
Silvio Berlusconi è un pedofilo. O almeno, la performance canora di Noemi Letizia di questi giorni [1] dimostra che certamente i loro incontri non potevano essere incentrati, come all’epoca dichiarato [2], sul pianoforte e sul karaoke (a meno che il Premier non sia anche masochista: Silvio Berlusconi è un masochista?).
Silvio Berlusconi...

“Credo che a tutti sia chiaro che se di un presidente del consiglio si dice che è un corruttore di minorenni, un corruttore di testimoni, uno che uccide la libertà di stampa, che è un mafioso, addirittura uno stragista, un tiranno, è chiaro che in una mente labile, e purtroppo ce ne sono in giro parecchie, diventare tirannicidi vuol dire essere eroi nazionali e fare il bene della propria patria e dei propri concittadini e quindi acquisire un merito e una gloria importante” Silvio Berlusconi, 20 dicembre 2009 [3].

Secondo questa dichiarazione, contornata da esternazioni non meno memorabili come quella dell’On. Cicchitto alla Camera [4], mi posso ritenere di diritto complice dei “mandanti morali” di (futuri) attacchi violenti contro il Presidente del Consiglio, o fors’anche la maggioranza in solido. Certo, non ho pretesa di ergermi ad opinion maker, né l’idea che ciò che io dica o scriva possa avere lo stesso ascendente di giornalisti di stampa nazionale o televisivi (che, per altro, raramente mi pare abbiano esternato giudizi categoricamente espliciti): già mesi fa palesai i motivi per cui ritengo senza mezzi termini quello di Berlusconi un regime liberticida [5]. Ciò nondimeno, un clima d’odio (cit.) non nasce da quattro bocche aperte dall’alto, ma si forma come concerto di voci, tiepida aria che insistentemente, senza prepotenza, si insinua in ogni minima fessura della società civile, e quando t’accorgi che la temperatura è cambiata, beh, è già cambiata. Quindi, nel mio piccolo, io contribuisco a fomentare questa campagna d’odio. Cosciente di ciò, concludo: diverse delle cose che ho detto si basano su fatti accertati in sede giudiziale [6]. Altre non sono state provate oltre ogni ragionevole dubbio, ma sono, a mio avviso, sufficientemente concrete da poter essere avallate o perlomeno, considerata la gravità delle accuse e la posizione pubblica dell’accusato, necessariamente dibattute sino al loro completo chiarimento.

È forse questo terrorismo mediatico? Attentato alle istituzioni? Impedimento al buon governo del paese? È bieco giustizialismo? Incitamento all’odio? In una libera democrazia parrebbero dubbi leziosi, in Italia dividono anche l’opposizione.

Qual è esattamente il confine tra la libera critica, anche piccata critica, e la fomentazione all’odio, alla rabbia? Tra la libertà di espressione e di dissenso (o espressione del dissenso), e il rispetto delle istituzioni? Proprio in nome di questa libertà, sono pronto a sottoscrivere ognuna delle mie precedenti dichiarazioni, ma, in cuor mio, là dove non esiste altro che la mia parola e dove solamente io posso sapere se mento o se sono sincero, in tutta onestà dico di non odiare Silvio Berlusconi. Né come uomo, né come politico. Lo ritengo una malattia per la democrazia, un elemento da estirpare politicamente in quanto nuoce gravemente al bene del paese, eppure non ho mai pensato, detto o anche solo sperato in segreto di vederlo sanguinante, ferito o decisamente morto. Ma proprio per questa ragione, per non avere mai espresso una così forte passione nei suoi riguardi, non mi sento oggi di dover esplicare la mia solidarietà nei confronti di Berlusconi. Non comprendo perché il suo volto sanguinante dovrebbe placare il mio dissenso nei confronti del suo operato politico, la piena opposizione al suo governo, la denuncia del suo aperto tentativo di scardinare le basi costituzionali del paese per l’unico dichiarato intento di salvarsi da procedimenti penali che interferiscono col suo mandato governativo (e non solo). Non sento la necessità di dover esplicitare testualmente la condanna di quell’atto violento, perché non accetto l’idea che tale scelta venga automaticamente associata a una palese approvazione di quanto accaduto! La vera strumentalizzazione è quella che vede politici di ogni sponda e colore (tranne Di Pietro, che per questo è passato per belva sanguinaria) doversi rincorrere a chi dimostra maggiore pietà e vicinanza umana, tendere la mano al capezzale del moribondo in una teoria senza fine, che va dagli amici, ai colleghi, ai dipendenti giù giù fino al popolo, che si sa, è sempre quello dall’animo più sincero e genuino. Così oggi, noi ancora pieni della vista del suo sangue e Lui ancora convalescente, vediamo questa mano tendersi magnanima, carica di solo Amore. È però – ed è qui che s’innesta la sottile trappola – non un amore incondizionato, il perdono del gesto inconsulto e magari l’assunzione delle proprie responsabilità. È invece la carezza che si offre al cane appena bastonato, il sorriso ad un bambino da poco castigato, un gesto che ammiccante offre futura protezione, ma solo a date condizioni: che non si morda più il padrone, non si risponda più male a papà, o, fuor di allegoria, si smetta di criticare e ostacolare il Presidente del Consiglio, affinché possa finalmente raggiungere quegli obiettivi che da mesi insegue, e che hanno finora trovato per strada un inusitato numero d’ostacoli.

Sono queste le ragioni per cui la nuova politica dell’amore non è altro che l’ennesima forma di ricatto, più subdola che mai proprio perché mascherata con una parola di potente impatto, che a tutto si riferisce tranne che alle reali intenzioni del suo promulgatore. Chi osasse ergersi contro un così forte messaggio di pace sa già che ciò risulterebbe doppiamente dannoso: a livello personale, in quanto segno di umana ottusità verso i dolori altrui, e politicamente, perché prova di quanto la sinistra sia spietata e rancorosa nel fomentare il suo cieco odio nei confronti di Berlusconi. Ricorda per certi aspetti il meccanismo dipinto da Orwell, dove proprio al Ministero dell’Amore spettava, in 1984, l’ingrato compito di reprimere ogni forma di dissenso. A noi non serve tutto un dicastero, basta un partito.

[1] http://www.youtube.com/watch?v=tJyGk9vt_28&fmt=18
[2] http://corrieredelmezzogiorno.corriere.it/napoli/notizie/politica/2009/28-aprile-2009/ecco-noemi-diciottenne-che-chiama-berlusconi-papi-1501304940417.shtml
[3] http://www.corriere.it/politica/09_dicembre_20/berlusconi_avanti_bene_paese_495a1170-ed58-11de-9ea5-00144f02aabc.shtml
[4] http://www.youtube.com/watch?v=kFJkYbSTUmE&fmt=18
[5] http://filste.wordpress.com/2009/06/08/regime/
[6] http://it.wikipedia.org/wiki/Procedimenti_giudiziari_a_carico_di_Silvio_Berlusconi